《E se tutta la fatica che impiego nello studiare non fosse poi così normale?》
Riceviamo sempre più richieste di valutazione riguardo difficoltà negli apprendimenti scolastici da parte di ragazzi del secondo ciclo delle scuole secondarie di secondo grado e, addirittura, frequentanti l’Università.
Si tratta di ragazzi da sempre affiancati nello studio da tutor, magari anche tre pomeriggi alla settimana, tutto l’anno, con un’ autostima molto spesso sotto i piedi.
Adolescenti che si convincono a fare questo tipo di valutazione non tanto sotto la spinta della famiglia, ma su consiglio degli insegnanti o dei compagni di classe con una diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento (DSA).
Oppure universitari che, a loro volta dando ripetizioni, si sono rispecchiati nelle difficoltà dei ragazzi che affiancano nello studio. Sono i più tenaci, quelli che arrivavano con almeno un debito a fine anno, che passavano l’estate a recuperarlo, attualmente “cintura nera” di mappe concettuali.
Anche mamme di bimbi con DSA, che nutrono il “sospetto genetico” (<<da qualcuno avrà pur preso!>>), che vogliono cambiare lavoro o prendere la patente e, grazie alla diagnosi, potrebbero giovare di tempi più lunghi nelle prove e nei concorsi.
A volte infatti sono effettivamente presenti i parametri in fascia critica, classificabili in una diagnosi di DSA che garantisce, oltre ad un miglioramento in termini di autostima (“allora non sono poi così stupido”), anche la messa in atto di misure dispensative e strumenti compensativi.
<<I disturbi specifici dell’apprendimento purtroppo non scompaiono con la fine della scolarizzazione ed è noto che il substrato neurologico e un certo grado di difficoltà, soprattutto per la dislessia, sono riconoscibili anche in età adulta>>. (Cornoldi e Candela).